Il passato? Mettilo dietro le spalle

Un guest post di Giancarlo Fornei, www.giancarlofornei.com

Mi occupo di crescita personale e di valorizzare le persone sin dal lontano 1999. Mi è capitato spesso di lavorare con clienti che non sapevano “staccarsi” dal proprio passato, come se lo stesso fosse un fardello enorme e, paradossalmente, troppo pesante per liberarsene.

La maggior parte delle persone preferisce farsi del male da sola e vive perennemente immersa nel passato, subendolo ogni giorno, anziché affrontarlo e fare tesoro di tutti gli insegnamenti ricevuti.

Del resto, anche la più brutta storia, lezione di vita o disavventura, contestualmente a dell’amaro in bocca ci lascia sempre anche degli insegnamenti.

Basterebbe poco: affrontare il passato col sorriso sulle labbra, essere consapevole degli insegnamenti ricevuti e lasciarlo andare dietro alla spalle, con gentilezza. Molta gentilezza.

Invece, parli con le persone e Ti rendi conto che ne sono ossessionate. La maggior parte vive in funzione del passato. Sono i ricordi, prevalentemente brutti (tanto tanto fossero belli, potrei anche capirlo) ad influenzare ogni attimo della loro giornata, della loro vita.

Ricordi di un amore perduto, di una malattia, di un brutto incidente, della perdita di un lavoro, di una bocciatura. Ricordi brutti, solo brutti e negativi. Dico sempre alle persone che vengono a fare coaching da me:

“Possibile che non Ti abbia insegnato nulla? Possibile che Tu non abbia imparato nulla anche dalle cose brutte e negative che Ti sono capitate?”.

Io conosco già la risposta: NO, non è possibile. Da ogni cosa, bella o brutta che sia, noi esseri umani impariamo sempre qualcosa. Il problema è che la maggior parte delle persone si focalizza solamente sulle cose brutte e non, su quello che le cose brutte hanno insegnato loro.

Evita di pensare che parlo e scrivo in questo modo perché le cose brutte non mi hanno mai sfiorato. Io non faccio il teorico di professione. Offro consigli su cose e principi che ho affrontato nel mio passato. Faccio il coach e riesco ad aiutare le persone proprio grazie alle innumerevoli esperienze negative che, purtroppo, ho vissuto in prima persona.

Ti porto un esempio, che mi è successo personalmente circa dieci anni fa. Un giorno, uscendo da scuola dove insegnavo comunicazione, mi fermai in macchina per alcuni minuti, in preda ad un giramento di testa micidiale. Tutto il mondo intorno a me si era messo a girare e girava velocemente, molto velocemente.

Mi sono risvegliato in ospedale il giorno dopo. Mi dissero che ero stato fortunato, che ero andato molto vicino al punto di non ritorno… si erano formati dei grumi nel sangue ed avevano creato quelli che in gergo chiamano “infarti cerebellari”. N’ebbi tre, tutti localizzati dietro la nuca e fortunatamente, non lesionarono nessuna parte importante.

A distanza di un anno, dopo che ripetutamente avevo avuto dei segnali simili alla prima volta, una gentilissima e scrupolosa Dottoressa di Pisa, scoprì il mio problema: ero un Mutante.

Una mutazione nel sangue chiamata MTHR, mi creava scompensi per la mancanza di acido folico, facendomi schizzare verso l’alto l’omocisteina.

Pensi che io mi sia focalizzato sul problema ed abbia vissuto nel ricordo del passato? Terrorizzato che potesse accadermi nuovamente e, questa volta, essere molto meno fortunato? NO! Assolutamente no.

Ho deciso di prendere tutte le cose belle che quella brutta malattia mi aveva insegnato e di vivere meglio. Per esempio, mangiando meglio, più frutta e verdura e meno schifezze. Prendendomela comoda, evitando di cadere nuovamente nella trappola dello stress. Ed ancora, tenendo sotto controllo il mio fisico con regolarità, cosa che non avevo mai fatto nei precedenti 37 anni. Ed altro ancora.

Insomma: potevo affrontare con il sorriso il passato perché ero consapevole degli insegnamenti ricevuti. Ho imparato a vivere la vita, perché paradossalmente lo facciamo solamente quando ci accorgiamo che il tempo a nostra disposizione è terminato.

Dammi retta, prendi tutto il Tuo passato e mettilo dietro alle spalle. Affrontalo con il sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore. Sii consapevole di tutti gli insegnamenti che hai ricevuto e lascialo andare, con dolcezza.

Focalizzati sul presente. Sul Tuo OGGI. Vivilo intensamente, con amore, con passione. Magari come se fosse il Tuo ultimo giorno sulla terra. Ma vivilo. Smettila di continuare a girarti indietro, cercando quel passato che ormai, è andato e non può tornare.

Chiudo questo post, con una frase bellissima, leggila e rileggila molte volte. Come è stata capace di farlo con me, aiuterà anche Te.

Negli ultimi trentatré anni, ho guardato nello specchio ogni mattina e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei veramente fare quello che sto per fare oggi?”

E ogni volta che la risposta è stata “NO” per troppi giorni di fila, sapevo di aver bisogno di cambiare qualcosa… quasi tutto – le aspettative, l’orgoglio, la paura del disagio e del fallimento – di fronte alla morte tutto ciò improvvisamente svanisce, lasciandoci solo quello che conta davvero.

Ricordarsi che moriremo è il modo migliore che conosco per evitare la trappola di pensare di avere qualcosa da perdere.

Steve Jobs, CEO di Apple Computer

E Tu, vivi nel passato? Lasciami un commento al post.

Giancarlo Fornei
Formatore Motivazionale & Mental Coach
“Che aiuta le persone ha raggiungere un obiettivo in 5 passi”

Delitto sulla scogliera – Cap. V

“Ma insomma, sei proprio sicuro che la birra non la puoi più bere?”

“Sì, babbo. Sembra proprio che sono intollerante ai lieviti. Birra, pane dolci… se li mangio mi lievita la pancia.”

“Bella inculata.”

In effetti era uno strazio. L’ordine del medico andava ad inficiare quella tradizione millenaria che era la birretta serale padre figlio sul balcone. Che poi il padre di Coen considerava una sorta di conquista sociale. L’abitazione precedente della famiglia era in un blocco delle case popolari in cui non solo mancavano i balconi, ma il tetto aveva una copertura in eternit, che rendeva l’estate un inferno terreno. Molte notti venivano spesse affacciati alla finestra, con la lingua penzoloni e gli occhi in fuori,

“Vabbè – riprese Coen figlio – non poi così tanto. E’ solo questione di farci l’abitudine. E poi dovrebbe essere solo per adesso, per sistemare un po’ le analisi. Poi, man mano che migliorano, dovremmo tornare pian pianino alla normalità. Del resto era chiaro che non potevo continuare a fare quello che mi pare e piace in eterno.”

“No, no, certo. Però è un’inculata lo stesso”

“Dài, alla fine si tratta semplicemente di mangiare un po’ più sano e di muoversi un po’ di più”.

“Però questa che non ti puoi fare nemmeno una birretta… Se sei in compagnia come fai?”

“Ebbè, uno mica sempre deve comportarsi come gli altri.”

A Pitigliano (GR) citofoni per disabili in Comune

Una buona notizia per chi ha problemi con le barriere architettoniche…

Fonte: Comune di Pitigliano (Gr)

Il Comune di Pitigliano rende più semplice l’accesso ai servizi dei suoi uffici installando 4 videocitofoni esterni collegati con anagrafe, ufficio tecnico, segreteria e centralino. L’attrezzatura permetterà ai disabili di richiedere informazioni e servizi direttamente dalla piazza antistante l’edificio comunale. Nel caso in cui sia necessario uno scambio di documenti, il personale del Comune provvederà alla consegna o al ritiro direttamente nella piazza.
L’obiettivo dell’iniziativa è favorire le opportunità di vita autonoma e l’integrazione sociale delle persone disabili attraverso l’individuazione delle soluzioni più efficaci e idonee per accrescere i livelli di accessibilità e fruibilità delle strutture pubbliche.

Piccolo Radiocronista

Un racconto dell’amico Carlo Salvadori

Anni Sessanta, un magazzino stretto e lungo in via Empolese 43 a Sovigliana di Vinci; sopra, l’abitazione. Gli scaffali verdi contenevano le pezze di stoffa. Tutte bianche, candide come la vita che inizia. Accanto, nell’angusta stanzetta con tavolino, i bottoni servivano al bambino d’allora per interminabili partite a calcio, vinte sempre dalla Grande Inter. Franca Mancioli, l’unica operaia interna (il termine è però riduttivo) della ditta Salvador di Emilio Salvadori, col fondamentale appoggio della moglie Giovanna Vignozzi, vi spediva il loro figlio quando intralciava il suo lavoro di tagliatrice al banco di legno chiaro, piallato da nonno Giovanni. Le rifiniture erano di nonna Ilaria, l’eterno sorriso sotto dolcissimi occhi azzurri.

I gessetti per tracciare i contorni dei modelli erano l’altro divertimento del piccolo radiocronista. Viola, rossi, verdi, la bramosia infantile di vedere il segno: “Franchina, mi fai gessare?”. Arrivavano le donne con il telo – lo chiamavano così – degli impermeabili cuciti. Scioglievano il nodo ed uscivano i berberi, l’inglese non era diffuso, decisivi nel successo delle confezioni. La favola del ‘capo’ in nylon, semplice e a buon prezzo poi finì e l’azienda artigiana soviglianese chiuse negli anni Ottanta per mancanza di continuatori in famiglia. Questa tesi sentimentale sulla storia degli impermeabili di Empoli, dedicata a tutti coloro che non hanno accettato un colore diverso dal bianco, era quasi improponibile. Ma l’idealista si aggrappa a tale avverbio per soddisfare l’egoismo della coscienza.

Scrittura: un minestrone bello accagliato

Di solito scrivo per mio piacere personale, e se si pensa che imbratto carte praticamente da sempre, è da relativamente poco tempo che rendo note al pubblico le mie cose. Devo ammettere che non mi sono mai preoccupato granchè del fatto che potessero piacere o meno a chi eventualmente le avesse lette. Per cui spesso mi lascio andare al flusso incontrollato della penna. Questo succede in particolare quando vengo colto dalla sindrome della pagina bianca .

Tuttavia, anche se principalmente scrivo per fatti miei, ciò non toglie che mi faccia piacere quando un racconto o un articolo riescono particolarmente bene. Il che per me significa che non si “perdono in chiacchiere”. Alla base ci deve essere un’idea solida, attorno alla quale si raccoglie tutto il testo. Il romanzo, l’articolo, ma penso anche il quadro, la poesia, il film.

Abituato come sono a pensare per metafore, mi sorge spontanea quella del minestrone di verdure. Non so come piaccia a voi, ma per me è più buono ristretto e saporito.

Quindi, quando noto che scrivendo parto (un po’ troppo) per la tangente, mi chiedo: come racconterei questa cosa in dieci righe?  Ed ecco che, la maggior parte delle volte, mi balza incontro il nocciolo della questione. Inutile dirlo, quando mi succede questo, lo stimolo a produrre qualcosa di buono è notevole.