Sopravvivere all’infarto, questione di testa
29 settembre 2010 Lascia un commento
Di Francesca Fiorentino, Enxerio Channel
Solo qualche anno fa la persona in grado di superare un infarto sarebbe stata considerata una miracolata. La più nota delle patologie cardiache, infatti, non risparmiava quasi nessuno. Oggi possiamo fortunatamente usare toni diversi quando si parla di “mal di cuore”. L’80 % dei malati che si presenta all’unità coronarica riesce a tornare a casa.
Spesso, però, le persone colpite da infarto non riescono a riprendere la loro vita di sempre: il cambiamento della dieta, le terapie farmacologiche da seguire rigorosamente, l’attività fisica da controllare contriuiscono a creare un’atmosfera pesante che si rivela spesso fatale per l’ammalato. Basti pensare che la mortalità raddoppia a un mese dall’infarto e quadruplica un anno dopo. In certi casi ciò dipende dalla cattiva gestione dell’assunzione delle medicine, i noti farmaci antiaggreganti che rendono il sangue fluido.
Il panorama delineato dal Dipartimento Cardiovascolare dell’ospedale San Donato di Arezzo lascia poco spazio all’immaginazione: in Italia l’aderenza alle cure non supera il 50-60%. E allora cosa fare? Per prima cosa, lo scatto in avanti deve essere soprattutto psicologico. E’ vero, l’infarto non è più la malattia mortale di un tempo, ma è sicuramente un campanello d’allarme che non si deve ignorare. Quindi non bisogna considerare le medicine come una fastidiosa incombenza, ma come un vero e proprio salvavita.
Fondamentale, in tal senso, è l’appoggio dei familiari che davanti all’incuranza del paziente devono stimolarlo con forza e magari con un sorriso sulle labbra. Una dimostrazione di affetto che va ben oltre il semplice accudimento di una persona malata, ma diventa uno sprone per riprendere a vivere in maniera diversa.