L’importanza di tenere un diario

Di David Di Luca, www.riassumendo.com

Sono ormai moltissimi anni che tengo un diario. Cominciai quando frequentavo l’ultimo anno di liceo, e non ho più smesso. L’idea, pensate, mi venne da una storia a fumetti che lessi su Topolino. C’era per l’appunto un tipo ormai parecchio avanti con  l’età che aveva scaffali pieni dei suoi diari, iniziati quand’era giovanissimo.

L’impulso iniziale, lo ammetto, fu principalmente imitare costui. Poi però mi resi conto che utilizzare dei quaderni era effettivamente molto pratico. Prima scrivevo le mie corbellerie su fogli volanti, e non so quanti capolavori siano andati definitivamente persi per questo 🙂

Il quaderno invece consentiva, scusate l’espressione, di “farla tutta lì”. Tanto che fin dall’inizio cominciai a distinguere le pagine dove abbozzavo i miei ghiribizzi letterari da quelle in cui scrivevo il mio diario vero e proprio.

Ho scoperto solo in seguito che molti scrittori ed altre persone di successo scrivevano regolarmente le loro impressioni. Col tempo credo anche di aver scoperto il perchè. Il punto, credo, è che pensiamo troppo velocemente. Nella nostra testa, perlopiù, non passano frasi di senso compiuto, ma spezzoni di ragionamenti, a volte addirittura immagini, ovvviamente legate ad emozioni.

Scrivere su carta ci aiuta a rallentare questo flusso spesso disordinato. Siamo costretti a dare un ordine logico ai nostri pensieri, spinti a capire cosa è davvero importante e cosa no.

C’è anche un altro vantaggio. Quando rileggiamo qualche nota che abbiamo scritto tempo fa, lo facciamo spesso come se fossimo un’altra persona. Non so voi, ma ho spesso trovato che questo ‘vedersi da fuori’ è uno dei modi più fruttuosi per capire come siamo fatti.

Un salto in avanti (FlashForward)

Di David Di Luca,  www.riassumendo.com

Ultimamente sono andato in fissa per la serie di telefilm FlashForward (qui trovi il romanzo da cui è tratta la serie) . L’idea di base è (apparentemente) molto semplice. Un bel giorno, in tutto il mondo, l’intera umanità perde conoscenza per due minuti e diciotto secondi. In quel lasso di tempo, molto hanno una visione, che riguarda per tutti lo stesso giorno. Oltretutto, le visioni degli uni si incastrano con quelle degli altri. Insomma, se io ho visto te, tu hai visto me, e per giunta nella stessa situazione. Gli incastri sono talmente coerenti che tutti si convincono di aver avuto anticipazioni del futuro.

Qui viene il bello. La serie, dal punto di vista narrativo, è tutta costruita sulla vita delle persone dopo la scoperta di aver probabilnente saputo dove saranno e cosa faranno in capo a sei mesi. Ma è davvero possibile conoscere il futuro? E poi: una volta conosciuto, è inesorabile o possiamo cambiarlo? Non si rischia, qualsiasi cosa facciamo, di creare un circolo vizioso per cui le profezie tendono ad autorealizzarsi?

E chi lo sa. Di certo cambiano i rapporti tra le persone, la loro vita viene stravolta. Passa perfino in secondo piano l’indagine sulla causa di questo fenomeno. Quello che importa, almeno dal punto di vista degli autori, è raccontare l’incredibile intreccio di avvenimenti che scaturisce dall’ipotesi di conoscere il proprio avvenire. E naturalmente, al centro di tutto c’è il dibattito sulla possibilità o meno di conoscerlo prima che avvenga.

Personalmente, sono convinto che ci vengono messe in mano delle carte, e sta a noi giocarcele al meglio.

Perchè mi piace Gracian

Di David Di Luca, www.enxerio.com/david

Tra tutti i grandi autori della letteratura spagnola, Gracian mi ha colpito subito, se possibile anche più di Cervantes, per il suo impegno *diretto* nell’analisi della realtà che lo circondava. Prendiamo in mano un classico degli studi sulla sua epoca, “La cultura del Barocco” di Juan Antonio Maravall. Ovunque si parla del Seicento come di un periodo storico che vede gli intellettuali perlopiù impegnati a capire un mondo che stava cambiando in modo tumultuoso. Gli studi umanistici, la logica, la retorica, non bastano più a spiegarlo, nè tantomeno a controllarlo.

L’intera opera di Gracian ci appare come un tentativo di rispondere a una domanda: come ci possiamo muovere in un cosmo che diventa sempre più complicato? Non a caso, uno dei suoi lavori di carattere più pratico si intitola “Oraculo manual”. Una sorta di Sibilla insomma, da portare sempre con sè per averne consiglio in qualsiasi momento.

Ma anche la sua opera principale, il “Criticon”, non fa eccezione. Certo, formalmente si tratta di un romanzo, ma la sostanza è quella di un’opera filosofica, non dissimile dai dialoghi di Platone. Anche qui, attraverso il discorso diretto si capiscono meglio certi concetti (e non uso la parola a caso, visto che siamo nell’era del concettismo) che altrimenti risulterebbero indigeribili alla maggioranza dei lettori.

Si aggiunga poi che Gracian era un gesuita, quindi un religioso. Condizione che, in un ambiente dominato dalla Controriforma, potè contribuire allo sviluppo di almeno due qualità su cui torna spesso a mettere l’accento: l’*agudeza* (acutezza, soprattutto d’ingegno) e l’essere *discreto* (accorto, avveduto). Entrambe necessarie sua ad un uomo che viveva in un periodo tanto complesso, sia a maggior ragione ad un uomo di fede, sia pure inserito in un ordine tra i più liberali e spregiudicati.

Letteratura, morto Salinger

Lutto nel mondo della cultura. E’ morto nello stato americano del New Hampshire lo scrittore Jerome David Salinger. Aveva 91 anni. È divenuto celebre per “The Catcher in the Rye”, tradotto in italiano come “Il giovane Holden”, romanzo di formazione pubblicato nel 1951. Non pubblicava più opere dal 1965.

Noterelle su romanzo e racconto

Di David Di Luca

Romanzo e racconto mi sono sempre sembrati parenti stretti, almeno a prima vista. Li ho sempre considerati sottoinsiemi della narrativa. Alla fine, sempre di storie si tratta. Però, ultimamente sto rivedendo questa posizione, per motivi strettamente procedurali.

Un racconto in genere lo scrivo in due-tre giorni, una settimana al massimo. Una volta che l’idea è stata concepita, vado abbastanza spedito. Con i romanzi è diverso. Molto banalmente, per me sono abbastanza lunghi da farmi perdere di vista tanto l’idea di base, quanto l’intreccio. Mi capita spesso, leggendo i capitoli che ho già scritto, di meravigliarmi di quello che ci ho messo dentro. Quasi come se li avesse scritti un’altra persona.

Il che non è del tutto falso, perchè magari quel capitolo l’ho scritto tipo un anno prima, quando in effetti ero in parte altr’uom da quel ch’i’sono. Quindi è normale che lo veda con un occhio diverso, talmente distaccato da poter sembrare quello di un’altra persona.

C’è anche un altro aspetto. Ho spesso notato che un buon romanzo non contiene una sola vicenda. Anzi di solito ce ne sono come minimo due o tre, che poi in genere sono riconnesse alla trama principale. L’autore sovente gioca con queste sottotrame, e può anche tenderle fino all’inverosimile, tanto che il lettore magari arriva a domandarsi cosa c’entri con il romanzo nel suo complesso.

A volte mi viene da pensare che proprio in questo stia la bravura dell’autore. Riuscire a creare una storia complessa, con molte sospensioni e quindi avvincente (cosa succederà adesso?) evitando però che il lettore si perda, si annnoi, e alla fine butti il libro. Personalmente, devo ancora imparare, come dire, a lasciare e riprendere i personaggi. Secondo me, si tratta di una delle lezioni più importanti.

Quindi, almeno per me, scrivere un romanzo è una sfida molto più complessa che non buttare giù un racconto. Del resto ci fu qualcuno che mi narrò un aneddoto su Victor Hugo. Pare che il grande francese, mentre componeva I Miserabili, tenesse nel suo studio, su un tavolo, una sorta di plastico, con su delle figurine che rappresentavano i personaggi. Ciascuna era piazzata nel posto che gli competeva al momento.

Non so quanto sia vera questa storia, neanche ho controllato. Però la trovo incoraggiante. Vuol dire che non sono io: è proprio che per scrivere un romanzo e tenerne le fila occorre del metodo.